Agora / Dream and Vision - marcosandmarjan
Mario Antonio Arnaboldi (2005)Published in:
L'Arca magazine, Milano Italy, Settembre n.206, 2005, p. 46.
Lo studio professionale Marcos and Marjan, che opera a Londra, è composto dagli architetti Marjan Colletti e Marcos Cruz che hanno recentemente svolto una sofisticata ricerca sulla rappresentazione e sulla tecnica costruttiva dell’architettura, aprendo nuovi orizzonti al progetto contemporaneo. L’evoluzione che sta subendo il progetto, unitamente alla ricerca svolta dai giovani architetti londinesi, ha fermato la nostra attenzione proprio su ciò che più stupisce. Trovare cosa è in grado di segnare la continuità e di sradicare i vecchi schemi romantici, e superati, è un apporto considerevole alla cultura progettuale contemporanea, soprattutto per impedire la costruzione di spazi ripetitivi che non possono più essere in grado di generare accoglienza nell’uomo contemporaneo.
In Italia, ancora oggi, in alcuni casi, si ripete l’aspetto parziale dell’architettura, dove i Concorsi pubblici e importanti continuano a celebrare un’architettura ormai morta da tempo perfino nella mente intelligente della cultura del progetto, e questo genera solo fatti incresciosi, come il risultato del Concorso per il futuro Palazzo di Giustizia di Trento, piuttosto che il Concorso a inviti della nuova direzione della Casa di Risparmio di Firenze, mentre ancora, si sta attendendo il risultato di quello bandito per la sede della Provincia di Arezzo. Insomma, la vecchia architettura del ventennio è oggi sostituita da quella di una sinistra semi/colta. Una volta in commissione e poi come concorrenti, i progettisti romantici si alternano, quasi in modo paradossale: con questo atteggiamento si ottengono gli incarichi.
È meritorio e piacevole rilevare la bravura di intenti e lo sforzo di ricerca dei due architetti Colletti e Cruz, che sembra non diano pace alle loro creatività ma, soprattutto, si sforzano di esprimere al meglio l’evidenza della loro professionalità, che, senza ombra di dubbio, intendono imporre a un pubblico internazionale. Può essere scontato che questa ricerca progettuale e formale tragga le sue origini da un’incalzante evoluzione della tecnologia, ma ciò non è sufficiente a porre un velo culturale a ciò che viene proposto. L’implemento dato dalla filosofia e dal pensiero, destinato a comporre il comportamento, è destinato a unire il sentimento di tutti, fa sviscerare i contenuti di queste forme, dando loro una parvenza non di superficialità ma di contenuti veri dell’architettura. Appaiono forme con precise relazioni e correlazioni fra tecnica e pensiero, tra funzione e forma. Insomma, un’espressione che si sforza d’essere progetto d’architettura e non un semplice gioco di volumi.
La città, la produzione, la statica, insieme all’equilibrio dello spazio destinato ad accogliere l’uomo, sono il connubio dell’intero procedere dei progetti proposti dallo studio Marcos and Marjan. Concreto è il progetto Xiyuan Entertainment Complex, che sarà realizzato a Pechino: l’architettura appare, qui, come un sapere complesso. L’idea dell’intervento è alimentata da molteplici connessioni ai circostanti domini del pensiero, diretto a costruire la forma per abitare i luoghi del tempo libero dell’uomo pechinese. Come ogni sede dell’intelligenza del topos è stretta d’assedio dalle culture circostanti e più discoste, ai cui orizzonti tende il proprio sguardo selettivo. Il progetto appare come un legamento, una disposizione, un fondamento, una regola, una delimitazione, un diktat, in una parola, uno strumento capace di concentrare specifiche categorie concettuali che riflettano altrettante figure dispositive dello spazio: secondo un doppio movimento che procede dall’idea astratta all’assetto concreto e dal luogo reale torna poi al principio, modificandolo. Del resto è apparso anche nelle coupures epistemologiques operate nelle avanguardie filosofiche, scientifiche e artistiche, come ormai appare catastroficamente anche dalla dissipazione entropica dei recenti paesaggi metropolitani. Il recente approccio al progetto spesso si basa su regole matematiche, che portano a manipolare la materia in modo magmatico che, fra l’altro, presenta ampi margini di sovrapposizioni, lungo i quali si avvia un percorso esplorativo per ricostruire alcuni fondamenti della pratica architettonica, contrastando il riduzionismo disciplinare dilagante ancora fra i romantici del progetto. Ecco come può apparire allora la crisi del grande stile razionalista, inteso come capacità di ridurre il mondo dell’essenziale, di dominare la proliferazione del molteplice in una laconica unità di significato, di analizzare, soprattutto, la posizione contraddittoria di Friedrich Wilhelm Nietzsche rispetto al razionalismo.
Il padre ideologico di questo nuovo modo di procedere rimane ancora Jacques Derrida, che ha consentito di sottolineare la circostanza che, nonostante il rigore e le precauzioni delle sue analisi, esse sono tutte rette da un presupposto inconsapevole, da un’ipotesi che non ha alcun valore assoluto, ma che agisce come fosse l’evidenza più inoppugnabile e che quindi diventa un dogma come lo è stato agli inizi il decostruttivismo. Appunto questi sono i presupposti che consentono alle scienze storiche d’essere tali e all’uomo di vivere, come le scienze sanno aiutare a farlo. Presupposti e non evidenze. Interpretazioni e condizioni indispensabili dell’agire: ma non verità. Senza rendersene conto, mascherando il proprio gesto, Derrida solleva questi presupposti delle scienze e della vita comune al rango di evidenze assolute e di verità incontrovertibili a un rango che non potrebbe esistere, se è vero che noi ci muoviamo all’interno di un’atmosfera, insomma nello spazio architettonico, storicamente condizionato e dunque tale da non consentire nessuna evidenza e verità assoluta. Una volta compiuta questa operazione, favorita dal consenso di cui quei presupposti godono, si può concludere affermando che al pensiero e alla conseguente creatività non può competere alcuna verità né alcuna evidenza assoluta.
È proprio il pensiero di Giancarlo De Carlo, un architetto vero, dedito alle battaglie civili e progettuali, ad aver promosso l’idea di un progetto come strumento di ispirazione sociale. Il progetto architettonico per lui è da considerare strettamente legato ai processi e alle idee che lo hanno generato e alimentato nel loro realizzarsi.
È la stessa adesione che appare dal lavoro dello studio Marcos and Marjan, che nega qualunque forma lessicale dell’architettura del passato e tende, in continuità, a modificare il linguaggio spinto da un’attenta ricerca scientifica e filosofica. È proprio la creatività che in questi progetti diventa una questione di metodo, insomma una sorte di dote naturale che si sviluppa con procedimenti scientifici tesi a promuovere le loro capacità innovative. In estrema sintesi, Marjan Colletti e Marcos Cruz dimostrano la capacità di produrre idee progettuali, in grado di trovare delle relazioni e dei nuovi modi per esprimerle. Hanno la capacità di ispirare, motivare e guidare i loro progetti in una sorta d’organizzazione. Queste doti, però, sono di solito ritenute non programmabili ma, più semplicemente, sono condizioni fondative per il successo, perché sono la chiave per capire le innovazioni che assicurano e preservano la competitività.